Non se n’è parlato molto sui media italiani, ma l’accordo raggiunto lo scorso 5 dicembre per la revisione del Regolamento CE n. 1272/2008 (CLP) – che disciplina nell’Unione Europea la classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze chimiche prevedendo che tutti i prodotti siano venduti, etichettati e classificati secondo una classe di pericolo per garantire la sicurezza dei consumatori – è un buon compromesso.
Suggella sì una soluzione transitoria, ma permette di scongiurare un rischio che, a un certo punto, era parso molto concreto, quello cioè di mettere “fuorilegge” gli oli essenziali usati per creare gli aromi di prodotti cosmetici e profumi.
Secondo la proposta elaborata in precedenza, infatti, la revisione del Regolamento avrebbe implicato il passaggio degli oli essenziali dalla categoria delle “sostanze naturali complesse” a quella di “miscele di sostanze chimiche”.
Non un semplice cambio di categoria o nomenclatura – attenzione – ma una modifica di fondo che avrebbe poi richiesto, per l’immissione in commercio del singolo olio essenziale, la valutazione del rischio di ciascuna sostanza in essa contenuta. La classificazione di prodotti rischiosi per la salute, in sostanza, sarebbe stata attribuita al fatto che un elemento chimico è pericoloso in quanto tale e non a seguito di rilevazione scientifica su un campione di consumatori.
Con la deroga specifica concordata dal Parlamento e dal Consiglio europei per gli estratti vegetali, quindi per gli oli essenziali – frutto di circa due anni di dialogo tra le istituzioni comunitarie, i singoli Stati membri e il mondo dell’industria e della produzione/coltivazione – si conferma l’attuale criterio di classificazione, accordando un periodo di 5 anni per il riesame delle prove scientifiche da parte della Commissione.
Si riafferma, inoltre, la necessità di attuare ogni eventuale modifica sulla base di un razionale scientifico e non di parametri classificatori avulsi dalla specificità delle sostanze vegetali.
In questo modo viene salvaguardata la filiera europea degli oli essenziali – in cui anche l’Italia ha un ruolo di primo piano – che già nel 2019 vantava un fatturato complessivo di circa 2 miliardi di euro e che si stima possa raggiungere i 4 miliardi nel 2026.
Una realtà produttiva che coinvolge tanto grandi aziende quanto piccoli produttori. Basta pensare alle filiere agricole del bergamotto in Calabria, della lavanda in Provenza o del limone in Spagna, una fonte significativa per l’economia e la competitività dei singoli territori.
L’obiettivo futuro – hanno commentato le associazioni dei produttori, nazionali ed europee – è quello di promuovere una regolamentazione che garantisca l’uso in sicurezza, per l’uomo come per l’ambiente, di oli essenziali e derivati basata su dati scientifici accurati e su valutazioni del rischio approfondite, senza compromettere nel contempo l’industria e l’occupazione.