Le intuizioni di Ildegarda

Mariella Di Stefano

La fitoterapia affonda le sue radici in tradizioni millenarie tramandate oralmente o in opere scritte, a lungo dimenticate e di recente sempre più spesso riscoperte e passate al vaglio della ricerca scientifica, con il supporto delle più avanzate modalità tecnologiche. L’obiettivo è quello di porre le basi per lo sviluppo di preparati, e quindi interventi per la salute, più mirati, personalizzati, olistici. Ripercorrere in chiave moderna il patrimonio dei saperi tradizionali, in taluni casi strutturati, può fornire dunque strumenti importanti per una conoscenza contemporanea delle piante medicinali come risorsa per il benessere.

Le opere e il pensiero di Ildegarda di Bingen (1098-1179), donna straordinaria per i suoi tempi e tuttora considerata la più celebre delle scienziate medievali, sono una fonte preziosa in questa direzione. Spaziando dalla medicina alle scienze naturali, nell’ambito naturalistico fu autrice di due trattati enciclopedici che raccolgono l’intero sapere botanico e medico della sua epoca: Physica, il Libro delle medicine semplici, e Causae et curae, il Libro delle cause e dei rimedi. Ispirandosi alla teoria ippocratica dei Quattro Elementi, la badessa di Bingen concepì idee di sorprendente modernità sull’impiego delle piante, elaborando anche una visione di salute e malattia che prefigura sotto molti aspetti il concetto contemporaneo di medicina olistica e personalizzata. Molti dei suoi rimedi sono ancora usati nella fitoterapia contemporanea come, ad esempio, la menta per alleviare alcuni disturbi digestivi o l’achillea contro l’epistassi.

In questa prospettiva è interessante un recentissimo articolo di Sabrina Melino ed Elisabetta Mormone (Front. Neurosci., 25 May 2022) che analizza l’approccio e la teoria umorale di Ildegarda per individuare al suo interno concetti che potrebbero essere un riferimento anche per la moderna medicina basata sull’evidenza. Secondo le autrici, infatti, la visione olistica ildegardiana del rapporto tra organismo e ambiente potrebbe prefigurare un approccio ‘visionario’ all’endocrinologia moderna, mentre gli ormoni sessuali, e gli estrogeni in particolare, rappresenterebbero un esempio di “interfaccia biodinamica”, in quanto fattori in grado di mediare la trasmissione di messaggi tra corpo umano e ambiente e viceversa e di modificarsi in risposta agli stimoli provenienti dall’interno come dall’esterno dell’organismo. I recettori degli estrogeni si trovano in regioni cerebrali coinvolte nella regolazione emozionale e cognitiva e sono implicati nella regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e nella regolazione epigenetica delle risposte agli stimoli fisiologici, ormonali e sociali.

In questo scenario dunque, nella complessa interazione tra diversi umori e flegmi riconosciuti come genere-specifici e regolati dall’ambiente, si potrebbe intravedere il primo tentativo di descrivere la moderna medicina olistica di genere. Così come l’anticipazione del concetto che assegna un ruolo centrale all’endocrinologia in alcune malattie genere-specifiche, valorizzando la funzione degli ormoni come strumento di comunicazione e di rielaborazione degli stimoli che ciascuna persona riceve dal macrocosmo. Di questa modernità intuitiva di Ildegarda di Bingen d’altra parte scrivevano, già nel 2017, anche Bruno Brigo e coll. In un articolo pubblicato su Lancet Neurology evidenziavano, infatti, come nei suoi scritti fosse presente una dettagliata rappresentazione del morbo di Parkinson, molti secoli prima della sua descrizione e, insieme a essa, il ruolo che la curcuma può svolgere in questo contesto. Un’anticipazione del potenziale ruolo di neuroprotezione svolto dalla curcumina, che diversi studi sperimentali hanno esplorato con risultati promettenti. Il tandem tradizione e innovazione, tante volte evocato per lo sviluppo delle piante medicinali e a noi particolarmente caro, mai come in questo caso diventa concreto e foriero di originali approfondimenti e intuizioni per il futuro del settore.