No, la lavanda no!

Da sempre considerata un rimedio naturale contro disturbi dell’umore come l’ansia e l’insonnia, negli ultimi decenni la lavanda è stata oggetto di ricerche approfondite e ha accumulato un buon corpus di evidenze scientifiche, molte delle quali riguardano il suo olio essenziale e l’impiego aromaterapico. Sono stati pubblicati studi di laboratorio e trial clinici su riviste internazionali importanti, come ad esempio Scientific Reports del gruppo Nature, e una recente metanalisi di ricercatori italiani ne ha confermato l’effetto positivo in una serie di condizioni di salute.

Ha fatto quindi abbastanza rumore, soprattutto in Francia, la notizia che l’Europa potrebbe vietare, o limitare, l’impiego dell’olio essenziale di lavanda e di altre piante come il timo. Alla base dell’allarme il ‘Green Deal’ e la nuova strategia chimica, con cui le autorità di Bruxelles intendono procedere verso un ambiente privo di sostanze tossiche, in cui le sostanze chimiche siano ‘utilizzate in modo più sicuro e sostenibile’.

In questa prospettiva la Commissione europea sta predisponendo la revisione del Regolamento sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze prevedendo di vietare l’uso delle sostanze chimiche più dannose nei prodotti di consumo. Anche gli oli essenziali potrebbero rientrare nella normativa, sia come prodotti finiti sia come ingredienti nella composizione, ad esempio, di cosmetici e, nel caso della lavanda, i riflettori sono puntati su uno specifico componente, il linalolo, sospettato di poter indurre delle reazioni allergiche. Se non il divieto assoluto si prospetta, dunque, un’avvertenza sulla confezione circa la pericolosità della sostanza, che avrebbe, però, un forte effetto deterrente sul consumatore, oltre ad aumentare gli obblighi amministrativi.

Una questione di grande portata, se ci si pensa bene. Gli oli essenziali sono il motore di filiere economiche di rilievo. Le attività di coltivazione e produzione di quello di lavanda rappresentano, in particolare nel sud della Francia, un settore cardine dell’economia. Giusto per fornire qualche numero, nella Drôme, il secondo dipartimento francese per produzione, si parla di 2.500 produttori, 130 distillerie e centinaia di aziende. In termini ancora più concreti si tratta di 10.000 posti di lavoro diretti e 17.000 indiretti, per un turnover annuale di 50 milioni di euro. D’altra parte anche in Italia, quinto produttore europeo, il mercato degli oli essenziali è in crescita costante con un volume produttivo che già nel 2018 aveva raggiunto un fatturato di 347 milioni di euro.

Produttori, distillatori, trasformatori e anche consumatori francesi sono scesi sul piede di guerra intravvedendo nelle misure in esame a Bruxelles un rischio per il proprio futuro e l’associazione francese degli operatori del settore Piante da profumo aromatiche (PPAM) ha lanciato una petizione, che ha raccolto rapidamente oltre 150.000 firme.

Bruxelles dal canto suo spegne gli ardori: un comunicato della Commissione ha spiegato che i timori della filiera della lavanda sono infondati, che l’Unione Europea non ha intenzione di vietare gli oli essenziali ma soltanto di “proteggere meglio la salute dei consumatori e l’ambiente” e che comunque non è stato ancora deciso nulla di definitivo.

Sappiamo che la proposta legislativa non sarà presentata prima della fine del 2022 e che dovrà in ogni caso essere discussa con tutti gli stakeholder del settore prima di essere adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, si ipotizza non prima del 2025.

Qual è la riflessione che scaturisce da questa storia? Innanzitutto, di nuovo, si riscontra un approccio riduttivo alla materia, fondamentale, della sicurezza dei preparati a base di piante. Un approccio incentrato sull’attività di una singola molecola separata dal suo contesto, senza considerare la sinergia del fitocomplesso e neanche la lunghissima tradizione d’uso. L’altra constatazione è che la Commissione, così rigorosa in questa materia, non ha mostrato lo stesso rigore in altri dossier di sicurezza importanti, dagli OGM all’aspartame.

Se l’auspicio è, ovviamente, che prevalga il buon senso e che le future normative europee tengano conto della peculiarità dei derivati da piante, monitorare questo tavolo, e gli altri aperti in sede comunitaria incluso quello sugli idrossiantraceni, resta un obiettivo della filiera tutta per il prossimo periodo.