Di Aloe, idrossiantraceni & c.

Non si può dire che sia stato un fulmine a ciel sereno, perché le prime avvisaglie risalgono al 2017, quando l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), in un parere sulla tossicità dei derivati degli idrossiantraceni (sostanze presenti in alcune piante medicinali di ampio uso), affermava che non era possibile stabilirne un livello di assunzione sicuro nei prodotti alimentari. Le istituzioni europee hanno assunto via via altre iniziative che hanno condotto, dopo la robusta accelerazione impressa negli ultimi mesi, all’approvazione, il 18 marzo scorso, del Regolamento UE 2021/468, operativo praticamente da subito e recepito in Italia con la Circolare attuativa del Ministero della Salute del 14 aprile.
Con questo provvedimento della Commissione Europea si vieta l’impiego e la commercializzazione dei preparati a base di Aloe contenenti aloe-emodina, emodina, aloina A, aloina B (sostanze naturali) e la sostanza sintetica dantrone. Il divieto, quindi, non riguarda l’Aloe in toto in quanto non include le preparazioni contenenti la polpa interna della pianta, gel sine cute, naturalmente priva di idrossiantraceni né si applica all’impiego come aromatizzante. Il nuovo regolamento stabilisce, inoltre, che altre tre piante contenenti idrossiantraceni – ossia rabarbaro, senna e frangula – siano sottoposte a scrutinio per un periodo di quattro anni durante i quali potranno essere utilizzate, mentre le aziende del settore dovranno raccogliere dati scientifici che ne dimostrino la sicurezza da presentare all’EFSA entro 18 mesi.
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 19 marzo viene sancita dunque una decisione già presa, che chiude le porte a ulteriori approfondimenti volti a chiarire senza margine di dubbio e all’interno di un’equilibrata proporzione rischio/beneficio la ‘presunta’ genotossicità attribuita a queste preparazioni.
Benché ampiamente annunciata, questa decisione appare sproporzionata e desta perplessità su aspetti sia di tipo procedurale, relativi all’applicazione di una misura che lascia diversi margini di incertezza, sia soprattutto di tipo scientifico. Secondo la maggioranza degli esperti, infatti, questo passaggio restrittivo non è supportato da solidi dati epidemiologici e tossicologici, essendo stato stabilito in base a studi in vitro su princìpi attivi isolati, come rileva anche il nostro articolo di approfondimento a pag.16 e seguenti.
Il provvedimento avrà delle conseguenze, pratiche ed economiche, nel nostro Paese, dove soltanto nel 2020 sono state utilizzate circa 12 milioni di confezioni di integratori alimentari contenenti piante ad antrachinoni. La sua applicazione non soltanto priverà i consumatori di un supporto utile per la gestione di alcuni disturbi comuni ma, coinvolgendo a cascata l’intera filiera – dalla coltivazione, alla produzione e distribuzione – penalizzerà operatori e aziende del settore che già devono fare i conti con la complessa situazione economica determinata dall’emergenza sanitaria.
Mentre un pool di aziende sta valutando di presentare un ricorso alla Corte di Giustizia europea, è di primaria importanza per il futuro mantenere alta l’attenzione e monitorare l’evoluzione regolatoria a livello europeo, dove vengono assunte le decisioni cruciali, al fine di predisporre le misure più adeguate e non trovarsi impreparati a fronte di ulteriori e analoghe iniziative.
Vale la pena, infatti, ricordare che la Commissione Europea può avviare di sua iniziativa o su segnalazione degli Stati membri la procedura prevista all’articolo 8 del Regolamento UE 1925/2006 qualora ritenga che l’aggiunta ai prodotti alimentari di una sostanza diversa da vitamine o minerali possa costituire un rischio per la salute dei consumatori: in questo contesto sono già sotto riflettori il finocchio, Garcinia cambogia e le catechine del tè verde.