Cambiare rotta si deve

In uno scenario economico caratterizzato da inflazione, tensioni geopolitiche e cambiamenti tecnologici, UNIONCAMERE nel suo report di fine 2023 comunica per le imprese italiane un saldo debolmente positivo (+0,7%), anche se non per tutti gli ambiti di attività, e un parallelo incremento delle chiusure (+2,1%).

Entrando nel dettaglio delle cifre, riferisce che oltre il 70% delle 42.000 nuove imprese registrate negli ultimi 12 mesi opera in soli 3 macro-settori – costruzioni, turismo e attività professionali – mentre nel commercio sono 8.653 le attività in meno (-0,6%). L’intero saldo positivo dell’anno appena trascorso, dunque, è trainato dalla crescita delle società di capitale, laddove le imprese individuali, ovvero il 50,6% di quelle esistenti, mostrano una flessione di circa 2.000 unità.

È in questo quadro segnato da carovita, rallentamento dei consumi e concorrenza di web e grande distribuzione – in un mercato sempre più dominato dai grandi gruppi e dai giganti dell’online – che occorre collocare e leggere gli affanni del commercio di vicinato che coinvolgono anche il mondo delle erboristerie.

Vediamo allora i dati: in Italia a fine 2023 le attività registrate come erboristerie sono 3.668, con un saldo negativo di 130 unità (-3%) rispetto all’anno precedente, ma anche con l’arresto di un punto percentuale del decremento demografico che, a fine 2022, era stato del -4%.

Alcuni territori soffrono, inevitabilmente, più di altri – è emblematica in tal senso la Basilicata, dove hanno chiuso 6 erboristerie su 20 – ma le chiusure colpiscono anche aree forti del Paese, come la Lombardia o la provincia di Roma. A fare da contraltare nuove, ancorché sporadiche, attività in Emilia Romagna, Sicilia e Toscana, così come è di buon auspicio la crescita a due cifre (+12%) delle vendite di cosmetici nel canale erboristeria (dati Cosmetica Italia).

La situazione d’insieme è tuttavia complessa nonostante i dati statistici, nazionali ed europei, sugli integratori, anche a base di erbe, restino molto buoni. Secondo il Good Food Institute Europe, infatti, le vendite dei prodotti a base vegetale sono aumentate del 22% negli ultimi 3 anni, raggiungendo i 5,8 miliardi di dollari nel 2022 e si prevede che il settore continui a crescere anche nei prossimi, fino a toccare il valore di 11,6 miliardi di dollari nel 2028. E il consumo di integratori e botanicals gode di buona salute anche in Italia, con un incremento delle vendite del 60% in 10 anni (Integratori&Salute).

Come invertire allora la rotta, recuperare all’erboristeria le quote di mercato via via erose da altri players e rilanciarne l’attrattività? Non ci sono risposte preconfezionate e si dovrà mettere in campo una strategia di lungo respiro facendo leva in primis sui valori chiave e sui tratti distintivi della figura professionale dell’erborista.

Conoscenza puntuale delle erbe, consulenza e personalizzazione del consiglio, competenza unica nei prodotti tradizionali simbolo dell’erboristeria, affiancate da capacità di comunicazione, uso delle tecnologie informatiche, proposte di servizi di customer care efficaci e originali nel quadro di una sempre più necessaria cultura della naturalità e sostenibilità e di coesione della categoria.

Oggi però tutto questo, pur essendo importante, non basta. Ci vorrebbe dell’altro, a partire dal cambiamento delle politiche economiche che hanno di fatto impoverito il commercio di vicinato, accelerando il processo di desertificazione commerciale delle città, privando i cittadini di servizi e i territori di ricchezza e lavoro. Politiche, infine, che non hanno mai sostenuto realtà uniche e a forte valore aggiunto come l’erboristeria italiana.