Agli erboristi inglesi piace il fitocomplesso

L’aumento progressivo delle pubblicazioni scientifiche sulle piante medicinali degli ultimi decenni indica un interesse sempre maggiore verso questi preparati, con studi che forniscono informazioni dettagliate sulla composizione chimica dei preparati vegetali e sui meccanismi molecolari della loro azione farmacologica.

Se questo è un dato assodato, è lecito anche chiedersi – in una materia così complessa come sono le piante – quale sia il confine tra azione farmacologica selettiva e aspecifica dei preparati vegetali e quali siano vantaggi e svantaggi dei composti standardizzati rispetto alle preparazioni tradizionali, costituite per lo più da estratti di piante intere, senza una misurazione formale dei vari costituenti vegetali (Panossian, 2023).

È un dibattito interessante che si sta sviluppando a livello internazionale e che riguarda anche la realtà erboristica del nostro Paese, dato che gli orientamenti su questo tema si riflettono in scelte e metodologie di lavoro.

Affronta il tema un recente studio condotto nel Regno Unito e pubblicato sul Journal of Herbal Medicine (Tobyn et al. 2023). Si è trattato nello specifico di un sondaggio online che ha approfondito – con un mix di domande quantitative e qualitative – l’atteggiamento degli erboristi britannici verso gli estratti altamente standardizzati e i fattori che ne influenzano l’eventuale uso. L’indagine – che ha riguardato i membri delle associazioni professionali degli erboristi – ha prodotto risultati a mio parere interessanti: il 69% degli intervistati ha dichiarato di non utilizzarli affatto, mentre una minoranza ha riferito un uso limitato, anche se chiaro, di singoli estratti altamente standardizzati. In ogni caso chi ricorre a questa tipologia di preparati utilizza in gran parte l’estratto singolo (soprattutto Curcuma longa) piuttosto che l’associazione di più prodotti.

La scelta di estratti ad alta standardizzazione viene motivata da più fattori, in primo luogo la quantità di studi scientifici che vanno in questa direzione, la raccomandazione di altri erboristi e la percezione di efficacia, sempre influenzata dalla ricerca. Il principale aspetto che ne limita l’uso è stato, invece, il rilievo che i responders hanno posto sull’estratto naturale della pianta intera. L’indagine ha mostrato, in buona sostanza, una forte attenzione da parte degli erboristi all’estratto naturale della pianta intera, nonostante tutti abbiano riferito di seguire con impegno gli sviluppi della ricerca scientifica.

La maggior parte degli erboristi britannici preferisce, dunque, lavorare prevalentemente con estratti vegetali interi – con l’occhio e il cuore al fitocomplesso e all’equilibrio naturale dei costituenti – e sono pochi i riscontri, nel campione preso in esame dallo studio, di un allontanamento dall’uso tradizionale delle piante officinali, anche se entrambi gli approcci sono indicati come possibili nella pratica attuale. E in Italia?