Molto rumore per nulla

La comunicazione sulle piante officinali richiede competenze specifiche. È un tema complesso in cui la qualità delle informazioni ha diversi nemici: la conoscenza parziale dell’argomento, gravata spesso da pregiudizi e luoghi comuni, la confusione che regna nel web e, da ultimo, ma non meno importante, il conflitto d’interesse.

Non è raro, dunque, incrociare notizie che suscitano perplessità, come un recente articolo pubblicato da Il Salvagente e dedicato, come recita il titolo, ai “15 integratori che fanno più male che bene”. La notizia, subito rilanciata da blog e siti più o meno generalisti, fa da sponda al messaggio, implicito ed esplicito, di messa in discussione dell’efficacia e soprattutto della sicurezza dei preparati a base di erbe. Una questione seria, anzi serissima, quest’ultima, che merita la massima attenzione degli operatori e un’adeguata copertura dell’informazione, poiché è interesse di tutti salvaguardare la salute pubblica.

C’è, però, qualcosa che stona in quell’articolo: riprendendo una notizia di Consumer Reports (l’associazione dei consumatori USA), si riporta una lista dei pericoli associati a varie erbe usate negli integratori alimentari. Piante come l’aconito, il camedrio, il chaparral (Larrea tridentata), la celidonia (Chelidonium majus), Lobelia inflata, la consolida maggiore (Symphytum officinale) di cui non solo è nota la tossicità, ma che in Europa non sono autorizzate nella produzione di integratori, come anche lo yohimbe o il kava kava. La metilsinefrina invece è proibita anche negli Stati Uniti.

L’articolo associa però a queste sostanze anche ingredienti vegetali – il tè verde o Usnea barbata ad esempio – inseriti in Italia nell’Elenco ministeriale delle piante ammesse negli integratori.

Parliamo, in sostanza, di un pezzo che mescola in un unico calderone piante molto diverse tra loro, per lo più bandite o non impiegate in Europa trasferendo in modo acritico e privo delle opportune verifiche, informazioni provenienti dal mercato statunitense, che è notoriamente diverso da quello comunitario.

In fin dei conti, per dirla con il ‘Bardo’: molto rumore per nulla! Bene ha fatto la SISTE (Società Italiana di scienze applicate alle piante officinali e ai prodotti per la salute) a segnalare tali incongruenze.

Questo episodio suggerisce due riflessioni. La sicurezza delle erbe è una questione seria da maneggiare con cura, avendo come riferimento e fonte attendibile di informazioni gli esperti della materia e gli studi scientifici dedicati. In secondo luogo, per il consumatore dei prodotti vegetali a scopo salutistico la strada più sicura è rivolgersi a canali di vendita in cui sia presente personale formato e competente, diffidando dalle facili proposte del web e da improbabili e improvvisati divulgatori.