Diamo i numeri…

L’Italia, con un volume d’affari di 3,8 miliardi di euro e una quota del 26% nel 2020, è il Paese europeo con il mercato degli integratori più dinamico, se confrontato con Germania (18,8%), Francia (14,7%), Regno Unito (9,5%) e Spagna (7,2%). Un mercato in costante crescita che tra il 2008 e il 2020 ha triplicato le sue dimensioni, con un aumento medio annuo di oltre il 9% (Report Nutraceutica 2022, Area Studi Mediobanca).

Altrettanto buone appaiono le aspettative di crescita, quantificate per il Vecchio Continente intorno al 6% annuo, mentre in Italia – dove si stima faccia ricorso agli integratori il 54% della popolazione versus il 20-25% di Germania, Francia e Regno Unito – il mercato degli integratori dovrebbe toccare quota 4,8 miliardi nel 2025.

Certo, sono numeri puri e anche astratti che occorre declinare nella realtà concreta dei territori, modulare nella vita quotidiana delle singole attività, su cui pesano infinite variabili, oggi ancora di più in un clima di rinnovata incertezza ispirata dagli scenari di guerra internazionali. E non dimentichiamo che i dati specifici per l’erboristeria in quest’ambito sono sempre carenti, dato che la maggioranza delle statistiche non mette a fuoco le performance di questo canale.

Qualche numero, però, lo abbiamo e lo condividiamo come elemento di riflessione, con l’impegno a colmare questo gap informativo che, di fatto, fotografa e riflette anche un posizionamento nei confronti del canale erboristeria.

Partiamo dall’indagine “Il punto di vista del consumatore”, condotta dall’agenzia Free-Thinking per SISTE e AIDECO, che ha fatto il punto sull’impiego di prodotti per la cura del corpo, in applicazione e come integratori, evidenziando tra l’altro un paio di elementi a mio avviso significativi.

Da una parte il relativo calo del ruolo della rete come fonte informativa, che restituisce una maggiore esigenza del consumatore, forse anche a causa dell’infodemia che ha attraversato la fase pandemica, di informazioni qualificate e sottoposte al vaglio di un esperto, con un accresciuto ruolo anche dell’erborista nella fase di pre-acquisto degli integratori.

Dall’altra le vendite, in questo segmento di mercato, dell’erboristeria che si evidenzia come il terzo canale di acquisto dopo farmacia e parafarmacia, portandovi tuttavia la sua peculiarità di luogo da sempre improntato ai valori di naturalità e sostenibilità, oggi più che mai al centro dell’attenzione.

Infine, ma non meno importante, il consuntivo annuale diffuso da UnionCamere che presenta il bilancio quantitativo su distribuzione e presenza numerica delle erboristerie in Italia al 31.12. 2021 (si legga l’articolo a pag. 14).

Se si conferma la caratterizzazione dell’erboristeria come settore formato in grande maggioranza da imprese individuali, 2.702 versus 435 società di capitale e 801 società di persone, i punti vendita a livello nazionale passano dai 4.011 di fine 2020 agli attuali 3.951, con una variazione percentuale del -1,49%.

Si rileva, dunque, una flessione numerica che tuttavia non è così drammatica, al contrario si evidenzia una lieve ripresa rispetto al 2020, quando il calo delle insegne a livello nazionale era stato del 2,6%.

Il relativo ridimensionamento dei punti vendita erboristici è più marcato nelle aree con un’economia tradizionalmente più forte, come ad esempio la Lombardia (-2,3%), l’Emilia-Romagna (-2,2%) e soprattutto il Lazio (-4%), dove a Roma e provincia hanno chiuso 18 erboristerie. Nel resto del Paese la situazione è complessivamente stabile: sono due, ad esempio, le chiusure in Sicilia, tre nelle Marche, una in Basilicata e in Sardegna, mentre un trend opposto si rileva in Toscana, dove si registrano sei nuove aperture (+2%), in Calabria con tre nuovi negozi (+3,9%) e in Campania con due.

I numeri li abbiamo dati: sta a ciascuno di voi, e alla categoria nel suo insieme, tracciare la strada o le strade per il prossimo futuro, per dare continuità all’erboristeria e alla figura dell’erborista facendo leva sui suoi valori chiave: professionalità e rigore scientifico, radicamento nella tradizione, ma anche capacità di comunicazione, uso delle tecnologie informative, presenza sui social, insieme alla capacità di proporre servizi di customer care efficaci e originali, nel quadro di una sempre più necessaria cultura della naturalità e sostenibilità.