Oltre l’epidemia

Mi sono interrogata più volte su cosa dire, come mantenere il contatto con voi, con i nostri lettori, in queste giornate difficili, convulse, anomale, nelle quali ciascuno di noi ha dovuto riorganizzare la propria vita – passando a un grado quasi zero di movimenti, lavoro e relazioni – al ritmo dettato dall’epidemia da Coronavirus.
Giornate nelle quali le notizie si accavallano una dopo l’altra, mentre il nostro Paese e il mondo intero devono fronteggiare una pandemia che sta facendo venire tanti
nodi al pettine.
Un sistema sanitario nazionale indispensabile ora più che mai nonostante anni di definanziamento e tagli, comportamenti sociali improntati a egoismo e
individualismo, frutto di una cultura che imperversa da decenni, una comunicazione social che oscilla tra il complottismo, l’alimentare la paura oltre il necessario
o al contrario minimizzare gli eventi, equiparando l’epidemia da COVID-19 all’influenza di sempre.
In mezzo c’è la realtà di questo morbo che, debellato quasi del tutto in Cina, ha ora il suo epicentro in Europa e in Italia nello specifico.
Una realtà fatta di percentuali, di contagi e di decessi, con il loro carico sociale ed emotivo, e di ‘distanziamento sociale’, una misura inevitabile, ma alla quale la
maggioranza del Paese non si è dimostrata pronta.
E poi un clima di smarrimento sociale, confusione, ansia, paura. Sentimenti umani espressi più volte in letteratura in relazione alle epidemie, dalla peste del 1630 in Lombardia descritta nel cap. XXXI dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, alle pagine intense de La peste di Albert Camus in cui l’epidemia, sempre di peste ma nella città algerina di Orano, diventa una metafora sulle emozioni e la precarietà della condizione umana.
In questa che senza esagerare si può definire una ‘guerra globale’ qualche buona notizia c’è: nella città cinese di Wuhan è stato smantellato l’ultimo ospedale da campo, a dimostrazione del fatto che applicando responsabilmente le norme di distanziamento sociale, se ne può venire a capo e un trend di rallentamento
dei contagi si sta registrando nella prima area della Lombardia, oggi la regione in maggiore difficoltà, investita dall’epidemia.
E ci sono le prime, timide, conferme circa l’efficacia dell’impiego off label del Tocilizumab, un anticorpo monoclonale contro l’artrite reumatoide, su cui è stato
deciso di avviare una sperimentazione clinica in più centri.
E sempre in Cina si è fatto ricorso a ogni strumento possibile, senza escludere le risorse della fitoterapia tradizionale. Degli 80 studi clinici predisposti sul Coronavirus una quindicina, infatti, riguardano piante e formule fitoterapiche tradizionali, alcune già utilizzate in precedenti epidemie come la SARS. Sembra, inoltre, che una formula a base di piante tradizionali con attività antivirali e antinfiammatorie abbia dato riscontri positivi, in associazione ai medicinali, anche nell’attuale epidemia.
L’epidemia colpisce indiscriminatamente persone integre e fragili e presenterà un conto salato a un’economia già in difficoltà e che ha bisogno oggi del massimo sostegno delle istituzioni, nazionali e comunitarie.
Ne risentirà inevitabilmente anche il settore erboristico che già nel corso del 2019, dopo anni di stabilità, aveva mostrato qualche segnale di difficoltà e la perdita di
decine di punti vendita a livello nazionale, come potete leggere nell’inchiesta di pagina 18.
Naturalmente tutto questo a un certo punto finirà, anche se quando saremo usciti da questa situazione nessuno di noi sarà più come prima e dovremo, forse, ripensare l’intero universo di senso, rovesciare una visione del mondo alla quale eravamo abituati. Ci vorranno coraggio, unità, determinazione.
Il mio augurio oggi, 17 marzo 2020, va dunque a tutti voi, in primis agli erboristi che vivono nelle zone più colpite e a quelli che, dopo il chiarimento delle autorità competenti e nel rispetto delle norme via via predisposte, hanno mantenuto aperti i loro punti vendita per fornire ai clienti – persone spesso duramente provate
anche a livello emozionale – il supporto dei preparati a base di piante e garantire pur nell’emergenza una sorta di ‘continuità’ di presenza e intervento.
Un contributo certamente parziale, a fronte dell’immensità della situazione, ma comunque significativo e importante per sostenere le persone in
questi giorni complessi.