Dal 2010 il numero delle imprese registrate come erboristerie, dopo un decennio di crescita costante, ha subìto prima una lieve contrazione per poi stabilizzarsi. Il monitoraggio condotto dalla nostra rivista, sulla base di rilevazioni statistiche nazionali, ha restituito in questi anni la fotografia di un settore attraversato indubbiamente da difficoltà ma non devastato, come altri, dalla crisi. E se in questo periodo diversi punti vendita hanno dovuto chiudere, il fenomeno è rimasto tutto sommato circoscritto lasciando, in definitiva, una situazione di stabilità, dove le poche chiusure erano compensate dalle poche aperture di erboristerie. Una sorta di limbo, consolatorio considerata la fase, ma non entusiasmante in termini di prospettiva. Per la prima volta dopo anni arriva, però, un segnale di altro tipo. Un segnale che, pur prestandosi a letture diverse, potrebbe indicare un’inversione di tendenza e aprire nuovi scenari. Parliamo dei dati di chiusura dell’anno 2015 comunicati da Unioncamere, secondo cui, nell’anno appena trascorso, il numero delle erboristerie nel nostro Paese è aumentato di 39 unità (+0,9%), attestandosi a 4.346 e riportando la situazione, almeno sul piano quantitativo, ai livelli pre-crisi. In termini assoluti la regione che ha registrato il maggior numero di nuove aperture è stata la Lombardia (+20), mentre la Calabria è quella che vanta la crescita più robusta in termini percentuali (+8,7%). Le periferiche Basilicata e Valle d’Aosta sono, invece, le regioni che hanno sofferto di più, con un calo rispettivamente del 9,7% e dell’11,8%. Una rondine non fa certo primavera, si dirà, e la pura grammatica dei numeri non cancella tutto il resto. Non rimuove né risolve alcuni nodi sostanziali: le difficoltà che la categoria deve affrontare quotidianamente, la crisi di liquidità, lo scarso sostegno della politica e del sistema bancario, la concorrenza ormai dispiegata su molti e agguerriti fronti. I numeri di Unioncamere raccontano però qualcos’altro. Indicano un rinnovato desiderio di investire in questo settore, fotografano la voglia e il coraggio di mettersi in gioco. Di ingaggiare una scommessa con il futuro che ci piace immaginare venga dai più giovani, pronti a mettere a frutto dietro il bancone di un’erboristeria le competenze acquisite nelle aule universitarie. D’altra parte la domanda dei consumatori in questa direzione non si è certamente spenta. Al contrario, si arricchisce di nuovi stimoli ed esigenze, come confermano molte indagini ad hoc. Euromonitor International, ad esempio, stima che il mercato degli integratori in Europa crescerà a un ritmo annuo dell’8% fino al 2020. Rileva poi come il principale driver della crescita sia espresso da un particolare segmento di popolazione, quello di età medio-alta. Come conferma la Food Standards Agency (FSA) britannica, secondo cui i principali acquirenti di integratori e prodotti naturali sono over 55. Una generazione che ha acquisito una consapevolezza matura verso la sfera benessere/salute e riserva un’attenzione crescente non solo alla forma fisica, ma anche al benessere mentale. Si tratta, inoltre, di una fascia destinata a crescere, a fronte del progressivo aumento dell’aspettativa di vita nei Paesi industrializzati, cui si accompagnano spesso cattive condizioni di salute e cronicità. Sull’altro versante si collocano i giovani, che si avvicinano a questo settore con modalità diverse e che bisognerà saper attrarre con linguaggi e proposte innovativi, anche attraverso un utilizzo intelligente e sinergico dei social forum e della rete. E tornando alle tipologie di prodotti, il nostro ultimo sondaggio, che potete leggere a pag.18 del n.4 della rivista, riporta vendite stabili in erboristeria per tisane, floriterapici, gemmoderivati ed estratti, segnalando un incoraggiante + 41,3%, per gli integratori alimentari, in linea con gli studi statistici del settore. In sofferenza appaiono, invece, la vendita dei cosmetici (-41%) e degli articoli accessori (-40,6%). Questo dato, tuttavia, è una costante del nostro campione di riferimento, formato in prevalenza da operatori che incentrano l’attività più sul prodotto “curativo” che su altri comparti del naturale.