Idrossiantraceni: cosa c’è di nuovo

Risale alla fine di gennaio la pubblicazione di un parere dell’Autorità europea sulla sicurezza alimentare (Efsa) sugli idrossiantraceni. Sostanze presenti in piante come aloe, senna, frangola e rabarbaro, utilizzate per lo più come lassativi, ma anche nella produzione di amari e liquori.

Secondo il think tank dell’Autorità europea, che ha esposto la sua opinione in un lungo paper di circa 100 pagine (Efsa Panel on Food Additives and Nutrient Sources added to Food. Safety of hydroxyanthracene derivatives for use in food, Efsa Journal), gli idrossiantraceni presenti nelle piante suddette potrebbero “alterare il Dna e aumentare il rischio di cancro del colon”. Anche l’Agenzia europea dei medicinali (Ema) aveva stilato una valutazione analoga riguardante i medicinali a base di antraceni.

Occorre, dunque, valutare con attenzione l’utilizzo negli alimenti dei derivati idrossiantracenici, commenta l’Efsa. Il gruppo di esperti precisa, poi, nel parere che allo stato attuale delle conoscenze non è possibile indicare un limite di sicurezza giornaliero, un elemento comune d’altra parte a diverse altre sostanze alimentari.

L’affermazione, di primo acchito, risuona forte e come tale è stata rilanciata da agenzie di stampa, siti e social, secondo la catena che si mette in moto quando una notizia si presta anche a una divulgazione di tipo allarmistico.

Cerchiamo, quindi, di entrare nel dettaglio e di capire più precisamente cosa dice questa comunicazione.

Ricordiamo che l’Autorità europea si è già occupata dei derivati dell’idrossiantracene negli alimenti nel 2013, riconoscendo sì che possono migliorare la funzionalità intestinale, ma suggerendo anche di evitarne assunzioni prolungate e in alte dosi a causa di potenziali problemi di sicurezza.

Per valutare questi aspetti gli esperti dell’Agenzia hanno esaminato gli studi tossicologici in vitro, quelli in vivo e quindi quelli condotti sugli animali. Le ricerche prese in considerazione avrebbero rilevato che chi assume questi preparati, noti anche come lassativi antrachinonici, per lunghi periodi si espone a un rischio maggiore di tumore del colon rispetto a chi non ne fa uso.

L’aumento del rischio è riportato, però, soltanto nell’uso cronico e non si evidenziano problemi quando questi preparati sono assunti per brevi periodi. I motivi per cui ciò accade, tuttavia, non sono ancora chiari e di conseguenza, come si fa di solito nella ricerca scientifica, si auspica l’attuazione di nuovi studi.

Il motivo che ha spinto l’Efsa a emanare il parere su richiesta della Commissione Europea, come spiega in un esauriente articolo il ricercatore e docente all’Università di Parma Renato Bruni, è la situazione venutasi a creare dopo l’approvazione di un claim salutistico per queste sostanze, che ha reso necessari ulteriori controlli sulla sicurezza.

L’istituzione europea, in realtà, non dice nulla di nuovo o che non sia già noto a chi si occupa di piante medicinali. Il confronto sui criteri da seguire nell’impiego delle droghe ad antrachinoni è infatti ampio e di lungo corso. È accaduto, semplicemente, che le informazioni già esistenti – in alcuni casi risalenti agli anni Novanta – sono state raccolte e organizzate in vista di un utilizzo di questi preparati nell’ambito alimentare.

Se non c’è nulla di nuovo, ci sono invece buoni criteri ai quali attenersi e questi sono noti a chi opera nel settore. L’esperienza e la competenza dell’esperto di piante medicinali, insieme agli indispensabili aggiornamenti della ricerca scientifica, restano l’ancoraggio fondamentale per impiegare queste, ma anche altre sostanze, in modo sicuro, evitandone gli usi impropri. Il che vuol dire non abusarne in termini di tempo e di dosi, adottando sempre per il problema della stipsi, così spesso portato all’attenzione dell’erborista, un approccio globale associato a uno stile di vita corretto e a un’alimentazione adeguata.

Resta da verificare, e lo sapremo nei prossimi mesi, se da questo parere scaturiranno limitazioni sull’impiego delle sostanze valutate dall’Efsa.