A ciascuno il suo

L’ultimo rapporto Eurispes Italia 2017, pubblicato poche settimane fa, evidenzia, per quanto riguarda la salute, come la percentuale di cittadini italiani che decide di rivolgersi all’ampio ventaglio dei preparati non convenzionali sia aumentata del 6,7% rispetto a una analoga rilevazione del 2012. Il 21,2% della popolazione italiana utilizza dunque medicinali e prodotti non convenzionali, omeopatia (76,1%) in primis, seguita dalla fitoterapia (58,7%).

Vento in poppa per le erbe allora!

E cresce anche la ricerca sulle piante medicinali. All’estero soprattutto – Stati Uniti, Nord Europa e Australia, ma anche Paesi più piccoli come l’Iran – data la cronica incapacità del sistema Italia di investire in un settore strategico per il futuro. La ricerca di laboratorio e quella clinica mettono a disposizione un’ampia mole di dati in molti campi diversi: la farmacologia e i meccanismi di azione delle piante, la loro attività in sfere specifiche della salute e del benessere, confermando spesso gli usi tradizionali delle erbe o prospettandone nuove applicazioni in altri ambiti salutistici.

Solo qualche esempio recente. Una ricerca pubblicata sulla rivista dell’American Cancer Society, valutata la relazione tra l’apporto dietetico degli isoflavoni della soia e la mortalità in oltre 6.000 donne americane con tumore al seno, rileva che la sopravvivenza è maggiore nelle donne che consumano elevate quantità di queste sostanze vegetali. Uno studio iraniano ha mostrato la potenziale utilità della curcumina nell’eradicazione dell’Helicobacter pylori responsabile dell’ulcera gastrica, un altro ha evidenziato i benefici della bardana in infuso sull’infiammazione dell’osteoartrosi del ginocchio, mentre una ricerca del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, centro scientifico di eccellenza mondiale, ha confermato l’efficacia della camomilla sull’ansia.

Passando in un ambito più di nicchia ma altrettanto affascinante, una ricerca pubblicata sul prestigioso Nature ha restituito informazioni preziose sui comportamenti degli uomini di Neanderthal, i quali già allora, come si rileva dalle placche dentali, conoscevano le proprietà benefiche di piante officinali come la camomilla, l’altea, la corteccia di salice o di alcuni funghi.

Se di tutto questo l’eco sui media è stata bassa, si è parlato molto invece di uno studio tutto sommato modesto, condotto da ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli e dell’Università Cattolica di Roma. Questa rassegna “narrativa”, dunque uno strumento di ricerca minore rispetto a metanalisi, rassegne sistematiche e studi clinici randomizzati secondo la Evidence Based Medicine (EBM), ha valutato l’efficacia e la sicurezza di dieci piante medicinali sulla salute cardiovascolare, e cioè aglio, olio di semi di lino, ginseng, tè verde, soia, astragalo, biancospino, cardo mariano, vite rossa e ginkgo. Gli studi di laboratorio hanno mostrato che la maggior parte di queste piante influisce positivamente sui meccanismi biologici delle malattie cardiovascolari e ci sono dati incoraggianti anche in alcuni studi clinici. Secondo gli autori il beneficio non è documentato con certezza, o meglio le ricerche ci sono ma non sono sufficientemente numerose né metodologicamente adeguate.

Non ci sono dubbi che la ricerca sulle piante debba essere sviluppata e migliorata nella metodologia. Vale la pena, però, ricordare che il problema delle prove di efficacia si pone per tutti. Lo segnalava qualche anno fa una revisione Cochrane di 1.016 revisioni sistematiche, secondo la quale su 3.000 trattamenti medici analizzati, solo per l’11% l’efficacia era sicuramente dimostrata, nel 50% dei casi le prove di efficacia erano poco chiare e non definitive e nell’8% i trattamenti praticati erano probabilmente inutili.

Se poi l’obiettivo è di evitare il “fai da te” nel ricorso a erbe ed estratti vegetali, come si legge nella parte finale della ricerca condotta presso il Gemelli, non si può che convenire.

Le piante medicinali offrono un aiuto prezioso in molti ambiti della salute, ma devono essere gestite e consigliate da chi le conosce, anche per scongiurare eventuali interazioni con altri prodotti. L’erborista formato è una di queste figure e se lavora in collaborazione con il medico esperto in fitoterapia il tandem non ha rivali.