Piante medicinali, quanto resta ancora da scoprire?

IMG_0453Il mondo delle piante, e delle loro potenziali attività per la salute e il benessere, è un libro aperto oppure nel prossimo futuro ci aspettano ancora molte scoperte che si rifletteranno inevitabilmente sul mercato dei prodotti di origine vegetale ampliandolo e aggiornandolo?

Su questo tema è in corso da anni un interessante dibattito internazionale, dove si confrontano opinioni diverse sul piano dell’analisi come delle prospettive.

Se si ragiona semplicemente in termini di numeri e si considera che il regno vegetale è abitato da circa 350.000 specie diverse, di cui soltanto poche migliaia sono state studiate a fondo e 60.000 parzialmente, si comprende come il bacino delle potenziali sostanze attive utili per la salute dell’uomo sia davvero enorme e il terreno da esplorare ancora sconfinato. Per andare con audacia, si legge sul sito dell’American Botanical Council, “dove nessun botanico finora è arrivato”.

Molti esperti convergono sul fatto che la biodiversità delle piante non si sia ancora esaurita e che vi sia un grande potenziale nel mondo vegetale. Una sorta di meraviglioso forziere che vale la pena continuare a studiare per la scoperta di nuovi composti bioattivi. Per dirla con Mark Blumenthal, direttore della rivista Herbal Gram, “sono ancora tante le sostanze fitochimiche interessanti a livello salutistico nascoste in natura”.

Altri esperti ritengono che molta strada sia stata fatta per quanto riguarda le piante superiori e che non a caso la farmacognosia, negli ultimi anni, stia rivolgendo il proprio interesse verso le alghe e gli organismi marini.

Indipendentemente da quanto ci sia ancora da scoprire in natura, una base fondamentale del percorso di conoscenza è il patrimonio di sapere dell’etnobotanica e dell’etnomedicina, così ricco anche nella nostra area mediterranea.

A questo patrimonio, d’altronde, la ricerca scientifica e di conseguenza l’industria prestano un’attenzione sempre maggiore. Un interesse rinnovato dall’assegnazione del Premio Nobel a Tu Youyou, la ricercatrice cinese che ha scoperto l’azione antimalarica dell’arteminisina, principio attivo estratto da Artemisia annua, sviluppando in maniera brillante le indicazioni di alcuni testi di medicina tradizionale cinese, in un bel connubio fra tradizione e scienza moderna.

Alcuni ricercatori, come ad esempio Roy Upton, fondatore dell’American Herbal Pharmacophoeia, pensano poi che oggi sia prioritario individuare nuovi impieghi delle sostanze vegetali, invece di cercare con gli strumenti della moderna ricerca scientifica conferme delle indicazioni tradizionali. Il razionale di questo approccio è che le attività curative delle piante e dei loro derivati non siano state ancora studiate a fondo nel contesto dell’utilizzo attuale, in particolare nei paesi industrializzati, che esprimono esigenze e condizioni molto diverse da quelle della tradizione.

La verità, come accade spesso, sta forse nel mezzo. Quel che è certo è che nell’ultimo decennio sono state determinate le attività, in alcuni casi sconosciute, di molte molecole vegetali. Il caso della curcuma è uno dei più indicativi. Questa spezia tipica della tradizione indiana è stata al centro di moltissimi progetti di ricerca in tutto il mondo. Gli studi conclusi in parte hanno confermato effetti noti alla tradizione, in parte hanno fatto emergere nuove prospettive, per esempio in ambito cardiovascolare, cognitivo, oncologico. Conseguentemente le vendite dei preparati a base di curcuma sono cresciute in maniera esponenziale, addirittura del 27% nell’ultimo anno negli Stati Uniti, dove sono al primo posto nel canale naturale.

In questo campo perciò si stanno indirizzando sempre di più le energie e gli investimenti della ricerca pubblica e dell’industria privata.

Il viaggio per la conoscenza del mondo delle piante medicinali continua ed è un viaggio che vogliamo condividere con voi, con la passione e la costanza di sempre.