L’osteoartrosi è la degenerazione, dovuta a usura progressiva, più comune tra le varie tipologie di artrosi: colpisce tutte le strutture articolari mobili e interessa tipicamente il ginocchio, l’anca, la colonna vertebrale, le mani e i piedi, con un’alta prevalenza di coinvolgimento poliarticolare.

Questa condizione è correlata alla perdita progressiva della cartilagine articolare e all’ispessimento dell’osso subcondrale sottostante, correlato a cambiamenti nel ripristino della cartilagine e nel rimodellamento osseo.

A eziologia multifattoriale, i cambiamenti biochimici, metabolici e legati all’invecchiamento possono contribuire alla sua comparsa, rendendola una condizione endemica a livello globale. Gli attuali studi fisiopatologici sull’osteoartrite indicano come cause di questa condizione processi quali l’apoptosi dei condrociti, l’invecchiamento e le lesioni causate dallo stress ossidativo. Si tratta di processi correlati a diversi mediatori delle proteasi infiammatorie e all’attivazione di vie di segnalazione infiammatoria.

Impatto mondiale dell’osteoartrite

L’OMS stima che circa 343 milioni di persone soffrono di osteoartrite in tutto il mondo, di cui circa il 10% uomini e il 18% donne di età superiore ai 60 anni, e che diventerà la principale causa di disabilità negli anziani entro il 2030.

Le caratteristiche più comuni sono importanti dolori articolari, rigidità mattutina, rumori articolari (crepitii), atrofia muscolare e ridotta mobilità, che determinano un evidente deterioramento della qualità di vita, della produttività e un inevitabile aumento della spesa sanitaria.

Le terapie farmacologiche

Le terapie attuali includono la somministrazione di farmaci per via orale, con iniezione intra-articolare e somministrazione endovenosa, procedure chirurgiche e la riabilitazione con terapia fisica, considerata la prima linea di trattamento.

Tuttavia, i farmaci comunemente usati, oltre ad avere effetti relativamente modesti, possono determinare effetti collaterali a livello gastrointestinale, cardiovascolare e renale, aumentando anche il rischio di insufficienza epatica.

Per questo insieme di fattori, la ricerca scientifica sta convergendo sui preparati di origine vegetale e naturale individuandoli come una possibile risorsa in questo campo.

L’alternativa naturale

Erbe e piante medicinali sono state tradizionalmente utilizzate nel tempo a tal fine, soprattutto dai più anziani e sebbene i loro meccanismi d’azione non siano sempre noti, l’ipotesi è che possano interferire con la regolazione delle vie infiammatorie, come la via NF-kB, l’inibizione dell’apoptosi dei condrociti e l’autofagia.

Circa il 42% delle nuove molecole bioattive incorporate in farmaci approvati dalla FDA statunitense nel periodo 1981-2014 è di origine naturale. L’utilizzo degli estratti botanici si presenta, quindi, come una risorsa vantaggiosa, ecosostenibile ed economicamente plausibile nell’ambito della prevenzione e del trattamento degli stati infiammatori.

Tra le piante officinali citate in questa rassegna si segnalano l’artiglio del diavolo, lo zenzero, la corteccia di salice, Boswellia serrata, il partenio, alcune formulazioni ayurvediche nonché preparati registrati a base di erbe e un unguento a base di capsaicina.

Questo approccio – scrivono gli autori della review pubblicata sulla rivista Rheumatology – è supportato non solo dall’accessibilità e dal basso costo di queste risorse, ma anche dalla loro intrinseca capacità di ridurre le preoccupazioni associate agli effetti collaterali di molti farmaci di sintesi. In questa prospettiva è ovviamente opportuno continuare a sviluppare la ricerca per determinare l’efficacia di piante medicinali e derivati sul dolore e l’infiammazione nei soggetti con osteoartrosi, mettendo a fuoco anche l’aspetto della sicurezza.​

Fonte: L. Long, K. Soeken, E. Ernst, Herbal medicines for the treatment of osteoarthritis: a systematic reviewRheumatology, Volume 40, Issue 7, July 2001, Pages 779–793