Gli additivi utilizzati per la preparazione dei cibi industriali possono aumentare il rischio di sviluppare le malattie autoimmuni, ossia quelle patologie nelle quali l’organismo attacca e danneggia i suoi stessi tessuti. Gli alimenti industriali indebolirebbero la resistenza dell’intestino a batteri, tossine e altri elementi ostili, che a loro volta aumentano il rischio di sviluppare malattie autoimmuni. Lo afferma una meta-analisi condotta da Aaron Lerner della Facoltà di Medicina di Haifa e del Carmel Medical Center e Torsten Matthias dell’Istituto Aesku-Kipp in Germania. Lo studio è stato pubblicato recentemente sulla rivista Autoimmune Reviews. “Negli ultimi decenni – ha osservato Lerner – è diminuita l’incidenza delle malattie infettive, ma allo stesso tempo è aumentata quella di malattie allergiche, cancro e patologie autoimmuni. Poiché l’influenza dei cambiamenti genetici è insignificante in un periodo così breve, la comunità scientifica sta ricercando le cause a livello ambientale”. Il gruppo di ricerca quindi ha esaminato gli effetti degli alimenti trasformati sull’intestino e sullo sviluppo delle malattie autoimmuni (diabete di tipo 1, celiachia, lupus, sclerosi multipla, epatite autoimmune, morbo di Crohn ecc). Molte malattie autoimmuni derivano da disfunzioni delle “giunzioni strette”(quello che viene definito “intestino permeabile”) che proteggono la mucosa intestinale. Quando funzionano normalmente, queste fungono da barriera contro batteri, tossine, allergeni e sostanze cancerogene, proteggendo così il sistema immunitario. La permeabilità intestinale favorisce dunque lo sviluppo di malattie autoimmuni. I ricercatori hanno rilevato che almeno sette additivi alimentari comuni – glucosio, sodio, solventi grassi (emulsionanti), acidi organici, glutine, transglutaminasi microbica e particelle nanometriche – indeboliscono le giunzioni strette. “L’auspicio è che questo studio e studi analoghi possano accrescere la consapevolezza sui pericoli insiti negli additivi alimentari industriali sensibilizzando sulla necessità di un maggiore controllo su queste sostanze”, è la conclusione dello studio.